
Nella giornata di ieri l’ex Presidente Emmerson Mnangagwa ha prestato giuramento solenne, sarà il nuovo Presidente.
Già la scorsa settimana avevamo avuto modo di parlare della particolare situazione in che si trova a vivere la Repubblica dello Zimbabwe. Gli sviluppi degli ultimi giorni hanno reso necessario un ulteriore aggiornamento.
Il 21/11 Emmerson Mnangagwa, ex vicepresidente del deposto dittatore Robert Mugabe, era stato nominato presidente ad interim nella speranza di dare una parvenza di legalità a quello che a tutti gli effetti si configura come un colpo di stato compiuto materialmente dall’esercito. Tuttavia, è di ieri la notizia che Mnangagwa, con cerimonia solenne, ha pronunciato il suo giuramento come nuovo presidente dello Zimbabwe. Il deposto presidente Mugabe e sua moglie Grace sarebbero in questo momento tenuti in custodia dall’esercito nella loro villa fuori dalla capitale Harare.
Prima contro gli inglesi e poi contro i nemici interni
Emmerson Mnangagwa è stato uno dei più stretti collaboratori di Mugabe sin dal suo primo governo, nel 1980. L’esperienza che aveva maturato negli anni di lotta contro la minoranza bianca al potere nel Paese subito dopo l’indipendenza dalla Gran Bretagna (all’epoca lo Zimbabwe si chiamava Rhodesia) tornarono molto utili all’ex presidente Mugabe durante i sette anni di guerra che seguirono il suo insediamento. Fu in questo contesto che Mnangagwa fu accusato di estrema brutalità nei confronti degli avversari e della popolazione civile, tanto da guadagnarsi il soprannome “il coccodrillo”. Più volte ministro nei governi di Mugabe, ha ricoperto anche la carica di Vicepresidente dal 2014 al 2017, quando cadde in disgrazia in seguito ad accuse di slealtà e cospirazione ai danni dell’ex Presidente.
La rapida discesa di Mugabe verso la morte politica
Ma torniamo ai giorni nostri. All’indomani del colpo di Stato, Mugabe rimane fermo sulle sue posizioni e continua a non voler cedere alle pressioni dei militari, sostenendo di voler terminare il suo mandato, la cui scadenza si sarebbe avuta nel luglio del 2018. Il 17/11, come avevamo già avuto modo di dire, l’ex Presidente appare pubblicamente all’università di Harare presenziando ad una cerimonia di laurea, probabilmente per poter dare una parvenza di ordine ad una situazione ancora poco chiara. Due giorni dopo, in seguito alla sua espulsione dal partito, Mugabe dichiara pubblicamente di volersi dimettere, salvo poi ritrattare durante una sua apparizione serale sulla rete nazionale. Sarà solo nella giornata del 21 che Muagbe rassegnerà definitivamente le sue dimissioni. Nei tre giorni successivi Mnangagwa, che come abbiamo detto era stato subito nominato Presidente ad interim, concerta la sua azione politica con Costantino Chiwenga, Capo di Stato Maggiore dell’esercito ed esecutore materiale del colpo di Stato, così da poter completare l’opera di rimozione di tutti i fedelissimi del deposto Mugabe.
Da “coccodrillo” a Presidente
Nella giornata di ieri, durante il giuramento solenne del nuovo Presidente, Mnangagwa ha ribadito l’auspicio che aveva già proferito tre giorni prima: dopo aver ringraziato l’esercito per aver evitato, con il suo intervento, l’instaurazione di una “dinastia familiare” al vertice del Paese, ha affermato di confidare in una pacifica transizione verso la democrazia, coronata da un’elezione presidenziale veramente libera e democratica. La cornice di questa importante giornata è stata data dalla popolazione che ha affollato le strade per festeggiare il cambio di regime. Una reazione tutt’altro che inedita se si considera che la reazione della cittadinanza di Harare, che alla notizia della presa in custodia di Mugabe una settimana fa si è riversata nelle strade per festeggiare e, in certi casi, a fraternizzare con i militari che avevano occupato i centri nevralgici della città; o ancora se si considera la reazione del Parlamento il quale, nella giornata del 19, è letteralmente esploso di gioia alla notizia dell’espulsione dell’ex presidente dal partito di governo.
Ovviamente non possiamo sapere con certezza se il popolo dello Zimbabwe, dopo trent’anni di oppressione portata aventi da Mugabe grazie allo stesso esercito che lo ha destituito, si stia realmente avviando verso l’emancipazione democratica. Ma quando è l’esercito a portare cambiamenti nel panorama politico è sempre lecito dubitare